Il Jobs Act e le tutele crescenti
Dal 7 marzo 2015 il Jobs Act è legge. Per tutti. Ma cosa significa tutele crescenti?
Semplice: agli operai, impiegati e quadri assunti a tempo indeterminato dopo il 7 marzo 2015, in caso di licenziamento illegittimo per giustificato motivo o per giusta causa, viene riconosciuto un indennizzo direttamente proporzionale all’anzianità di servizio, in relazione al quale il giudice non ha discrezionalità nell’apprezzarne l’entità.
A stabilirlo è l’art. 3 del D.Lgs. 23/2015. In tali ipotesi il Giudice, dichiarato estinto il rapporto di lavoro, condanna il datore “al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilià dell’ultima retribuzione per ogni anno di servizio,in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità”.
La disposizione, pur tanto avversata, sigla una tutela chiara, non soggetta a interpretazione: il datore e il lavoratore sapranno in anticipo il valore economico della cessazione del rapporto.
Lo stesso vale anche per i licenziamenti affetti da vizi formali e procedurali: in tali ipotesi il giudice “dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a dodici mensilità”
Inoltre, nell’ottica della semplificazione, e della deflazione delle cause civili, il legislatore delegato ha creato un interessante istituto per disincentivare la litigiosità. Si tratta dell’offerta di conciliazione prevista dall’art. 6 DL 23/2015: con essa, il lavoratore che intenda accettare, avanti ad un organo di conciliazione, un’eventuale offerta proposta dal datore entro i sessanta giorni successivi al licenziamento, otterrà un importo che non costituisce reddito imponibile ai fini IRPEF e INPS, di ammontare pari ad una mensilità per ogni anno di servizio, in misura non inferiore a due e superiore a diciotto mensilità. Considerata l’alea di un giudizio di impugnazione del licenziamento, per entrambe le parti coinvolte, certamente l’offerta conciliativa potrebbe offrire maggior certezza del diritto.
Riassumendo, il provvedimento sembrerebbe aver definitivamente messo ordine alle conseguenze dei licenziamenti, superando l’art. 18 nel senso di tutelare non più l’occupazione, intesa come diritto ad esser reintegrati proprio nel posto di lavoro dal quale si è stati allontanati, ma come tutela dell’occupabilità: affianco agli indennizzi previsti dalla norma infatti dovrebbero prender forza le politiche attive del lavoro, rivolte a qualificare e reimpiegare i lavoratori indipendentemente dalla loro anzianità e competenze, incentivando anche le agenzie del lavoro, mediante incentivi economici, alla ricollocazione della persona inoccupata.